Perché temo il giudizio degli altri?

Ebbene sì…è successo anche a me proprio in questi giorni, e proprio dopo aver appena riletto i "Quattro Accordi" e aver ricordato nell’ultimo post la sua seconda regola "Non prendere nulla sul personale"!

Cosa è successo? Nella stessa sera, dopo una cena di lavoro, un collega mi ha confidato di aver avuto una pessima prima impressione di me, e il mio capo mi ha punzecchiato ripetutamente e ridendosela della grossa sul fatto che, nonostante scriva sulla gestione dei team, i miei stessi team sono pieni di problemi.

E ovviamente…ci sono rimasta malissimo…Sì insomma, predico bene e razzolo male!

Ecco come l’ho elaborato però: quando ho ricevuto quei commenti, il mio primo impulso è stato di rifugiarmi in una sorta di armatura emotiva, ma poi mi sono fermata. Ho cercato di osservare la situazione con una prospettiva più ampia, partendo dalla consapevolezza che ogni giudizio degli altri dice qualcosa degli altri, non di noi. Cioè gli altri esprimono i loro pensieri nel modo in cui li hanno vissuti, filtrati dalle esperienze personali. Questo vuol dire innanzi tutto che il giudizio che mi arriva ha il potere che voglio dargli, ossia posso decidere di accettarlo o di lasciarlo fuori della mia sfera emotiva.

 Questo non vuol dire ignorare il feedback, ma piuttosto analizzarlo con curiosità, (soprattutto se chi ti giudica è una persona che stimi o che ti conosce bene), come se fosse un puzzle complesso dal quale potrei estrarre qualche saggezza nascosta.

Ho riflettuto su come le persone tendano a proiettare su altri le proprie insicurezze o aspirazioni, e su come il contesto culturale e le esperienze passate modellino profondamente il nostro modo di percepire gli altri. Questa consapevolezza mi ha permesso di prendere distanza dalle parole aspre, riconoscendole più come espressioni dei mondi interni dei miei interlocutori che come valutazioni oggettive del mio operato.

Sono poi passata però a chiedermi cosa potessi apprendere da quel feedback, soprattutto perché sono appunto due persone che stimo. È stato un processo doloroso, certo, perché nessuno ama sentirsi inadeguato o sottovalutato, soprattutto da persone che si rispettano.

Tuttavia, il disagio può essere un catalizzatore potente per il cambiamento. Mi sono domandata: "Qual è la parte di verità in ciò che hanno detto? C'è qualche aspetto del mio lavoro che ho trascurato o potrei migliorare?" Queste domande non erano volte a giustificare il giudizio ricevuto, ma a utilizzarlo come uno strumento di auto-riflessione.

Lavorare su come riceviamo il giudizio degli altri è, senza dubbio, un esercizio continuo, una pratica quotidiana che richiede pazienza e consapevolezza. Non si tratta solo di imparare a non reagire d'impulso, ma di costruire una nuova modalità di ascolto, più profonda e intenzionale, che ci aiuti a distinguere tra ciò che ci appartiene e ciò che invece appartiene agli altri, e devo dire che mi sono stati d’aiuto alcuni concetti appresi nel coaching, ossia ascolto attivo, essere egoless e praticare la presenza.

Foto di Anastasiya Badun per Unsplash

 

L'ascolto attivo: una chiave per il cambiamento

Praticare l'ascolto attivo è il primo passo. Significa accogliere le parole di chi ci sta di fronte senza filtrarle immediatamente attraverso le nostre emozioni o pregiudizi. Spesso, quando riceviamo un feedback, la nostra mente si mette sulla difensiva. È un meccanismo naturale: percepiamo il giudizio come un attacco e il nostro ego si attiva per proteggerci. Questo, però, ci impedisce di ascoltare davvero ciò che viene detto.

 

L'ascolto attivo, invece, ci invita a sospendere temporaneamente il nostro giudizio. Ci chiede di restare presenti, di ascoltare con apertura e curiosità. È come dire a noi stessi: "Metto da parte per un momento le mie reazioni per capire davvero cosa l'altro vuole comunicarmi". Non è facile, ma è una pratica che può trasformare radicalmente il modo in cui viviamo il feedback.

 

Sospendere il giudizio: un atto di consapevolezza

Sospendere il giudizio non significa accettare tutto ciò che ci viene detto come vero o giusto. Piuttosto, significa non lasciarsi travolgere dall'impulso di etichettare immediatamente il feedback come positivo o negativo, utile o inutile, giusto o sbagliato. È un atto di consapevolezza che ci permette di fare un passo indietro rispetto alle nostre emozioni e di osservare il giudizio per quello che è: un punto di vista, un'opinione filtrata attraverso l'esperienza e i valori di chi lo esprime.

 

Quando sospendiamo il giudizio, creiamo uno spazio di riflessione. È in questo spazio che possiamo analizzare con calma ciò che abbiamo ascoltato, decidendo cosa tenere e cosa lasciare andare. Non tutte le critiche meritano di essere accolte, ma tutte possono insegnarci qualcosa, anche se solo a conoscere meglio chi le ha espresse.

 

La forza della presenza

Essere presenti quando riceviamo un feedback è essenziale. Spesso, invece, ci ritroviamo a reagire automaticamente, mossi da una combinazione di emozioni come paura, rabbia o vergogna. La presenza ci aiuta a rimanere ancorati al momento, a non lasciarci travolgere dalle nostre emozioni o dai pensieri negativi. Quando siamo presenti, possiamo accogliere il feedback senza farci sopraffare, valutandolo con lucidità.

 

Un allenamento costante

Come ogni abilità, anche questa richiede allenamento. Non basta leggere un libro o ascoltare un consiglio per cambiare il nostro approccio al giudizio degli altri. Serve pratica, quotidianamente. Possiamo iniziare con piccoli passi: ad esempio, ponendosi queste somande: “Perché certe parole mi hanno colpito così profondamente? Cosa mi dicono della mia sensibilità ai giudizi altrui?” Questa indagine interiore può aprire nuove vie per il proprio sviluppo personale, spingendoci a riconoscere e a lavorare su quelle parti di noi che ancora si sentono vulnerabili o incerte.

 Con il tempo, diventeremo sempre più capaci di accogliere il feedback senza reazioni impulsive, trasformandolo in uno strumento di crescita.

Lavorare su come riceviamo il giudizio degli altri non solo migliora la qualità delle nostre relazioni, ma ci rende anche più sicuri e sereni.

 È un percorso, certo, ma uno che vale la pena intraprendere.

Per me, questo processo di introspezione non è stato facile, ma è stato incredibilmente illuminante.

Mi ha permesso di trasformare un momento di critica in un'opportunità di crescita personale e professionale, ricordandomi che ogni feedback, anche quello più difficile da accettare, può diventare un dono prezioso se lo accogliamo con il giusto spirito.

Dunque, se anche tu ti trovi a lottare con feedback difficili o con il giudizio degli altri, ricorda che puoi sempre scegliere come rispondere. Puoi decidere di utilizzare il feedback per riflettere e crescere, oppure puoi semplicemente riconoscere che ciò che gli altri dicono di te è più un riflesso delle loro battaglie che non una misura del tuo valore. E alla fine, questa consapevolezza è una forma potente di libertà personale e professionale.

 

E tu, temi il giudizio degli altri?

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